Da tanti anni insegno la gestione costruttiva dei conflitti a chiunque sia interessato ad apprenderla. Quando durante un corso di formazione chiedo ai partecipanti che cosa è stato loro insegnato sulla gestione del conflitto, le risposte sono: lasciar perdere, cedere, rinunciare, oppure, se attaccati, non farsi mettere i piedi in testa. Da queste risposte emerge uno schema fondato sull’aut/aut: o arrendersi o cedere, o combattere o rinunciare, o attaccare o fuggire, ”tertium non datur”, ovvero non esiste una terza possibilità.
Inoltre, quando ci si trova a vivere un conflitto spesso si prova disagio, rabbia, sensi di colpa. È però possibile apprendere una differente e più costruttiva modalità per gestire i conflitti, comprendendo gli errori che commettiamo: confondiamo i problemi con le persone, costruiamo aspettative, ci chiudiamo nel nostro punto di vista scambiandolo per la verità.
Il conflitto ha però anche un aspetto molto interessante: dal latino, se il verbo è inteso in senso intransitivo, significa scontro, in senso transitivo invece significa incontro.
Questo significa che possiamo decidere come usarlo, trasformandolo anche in una sfida, al fine di comprendere cosa dallo stesso possiamo imparare, quanto il conflitto alla fine ci parla di noi e quanto esso può diventare la migliore occasione per conoscerci, e conoscere meglio anche l’altro.
Tutto questo è ciò che insegno nei miei corsi e che permea il mio modo di lavorare. Ciò che ho imparato l’ho appreso non solo studiando i conflitti, ma soprattutto vivendoli, affrontandoli e trasformandoli. Essi sono stati e continuano a essere i miei migliori maestri, in quanto mi hanno consentito di comprendere come tutto è correlato e come, trasformando il conflitto, si può giungere a una visione più ampia dove non si presta attenzione alle persone isolando i torti dalle ragioni, ma le si considera in una visione d’insieme che comprende innanzitutto le loro relazioni.
